Che cosa si intende per “AI for Social Good”?

Eirini Malliaraki riflette su cosa significa intelligenza artificiale per il sociale e sull'impatto positivo della tecnologia.

Che cosa si intende per “AI for Social Good”?

Proponiamo un estratto, tradotto in italiano, dell’articolo What is this “AI for Social Good”? scritto da Eirini Malliaraki. Ringraziamo l’autrice per la disponibilità.


“AI for Social Good”: un termine ombrello

Si moltiplicano le iniziative dedicate al tema “AI for Social Good” tenute da organizzazioni come Google e Microsoft, così come convegni, report e workshop presso le più importanti conferenze di settore quali Neurips, ICRL e ICML. Ciononostante, “AI for Social Good” è diventato un termine arbitrario.

Non solo “AI” è un termine omnicomprensivo (sul quale si potrebbero scrivere libri interi), ma il termine ombrello “AI for Social Good” crea ancora più confusione circa quali siano gli obiettivi e le metodologie dell’impresa, così come i suoi valori e gli stakeholder. La mancanza di precisione dal punto di vista dei professionisti di settore impedisce di capire cosa si intenda per “bene”, per chi,  in quale contesto e come si colleghi ad altri campi di ricerca.

Per sfruttare in modo efficiente l’incredibile esplosione di interesse a cui stiamo assistendo ed evitare di cadere preda di facili ostentazioni di virtuosità morale e tecno-soluzionismo, ritengo che per discutere del nostro lavoro ci sia bisogno di modalità più precise e contestualizzate, di sviluppare un metodo e di trarre insegnamenti utili da movimenti simili. Questo non va inteso come un tentativo di isolare la comunità ma, al contrario, ha lo scopo di fare tesoro delle competenze di chi partecipa alla sfida per definire, collocare e tracciare i nostri progressi e valori.

Tecnologia> Dati> Il contesto di “AI per il bene sociale”

“AI for Social Good” non è un argomento di discussione nuovo. Si fonda infatti su precedenti movimenti tecno-ottimisti associati all’adozione dei più recenti progressi tecnologici per superare le sfide della società, ossia il movimento “Tech for Social Good”. “Tech for Social Good” fa ampio uso della tecnologia digitale per affrontare alcune delle sfide più complesse al mondo.

Le definizioni variano e, tra le organizzazioni, tanti sono i nomi che vengono adottati: digital social innovation, social tech, civic tech, responsible tech, technology for social justice, tech for tnternational development, tech for sustainable development e tech for social good. Cassie Robinson ci accompagna nell’esplorazione delle radici storiche del movimento che è diventato più strutturato intorno al 2008. A quel tempo la tecnologia civica era più focalizzata su governo, amministrazione e processi democratici, e meno su problemi sociali più ampi come istruzione, povertà, disuguaglianza, sostenibilità, invecchiamento, ecc.

Lentamente si è creata la ramificazione dei “dati per il bene sociale” (“data for social good”) e sono iniziate a fiorire iniziative come DataKind, Bayes Impact, e Data Science for Social Good, AI4ALL, hack4impact, e uptake.org, favorendo la nascita di nuove comunità di appassionati di dati/machine learning impegnati a risolvere le sfide della società.

Le persone che fanno parte della comunità “tech for good”, come Tech For Good Global, Bethnal Green Ventures, CAST, Nominet Trust, Doteveryone, Nesta, Good Things Foundation, Comic Relief, e numerosi ricercatori e imprenditori (me compresa) hanno meditato su definizioni, principi, sfide e teorie del cambiamento. La tecnologia dà potere e possibilità di azione diretta alle persone? È generata in modo responsabile? A chi appartengono le voci escluse dalla conversazione?

Parallelamente, assistiamo oggi al dibattito sulle applicazioni e sulle ripercussioni del machine learning. È equo? Imparziale? Trasparente? Responsabile? A questo punto, oltre che guardare al passato in cerca di insegnamenti, vale la pena esaminare nuovamente le proposte di valore e di metodo di “AI for Social Good”. Perché:

  • Le metodologie di machine learning e scienza dei dati stanno maturando e diventano sempre più centrali per affrontare grandi sfide sociali e supportare l’innovazione sociale, la filantropia, lo sviluppo internazionale e gli aiuti umanitari.
  • Esiste ancora un divario tra le comunità scientifiche e tecnologiche e il settore sociale (enti di beneficenza, società civile, servizi pubblici, ecc.), e cioè coloro che pongono le domande giuste; spesso il settore sociale e le persone con esperienza pregressa vengono esclusi dal dibattito.
  • Il lavoro di ricercatori, designer, etnografi, economisti, esperti in machine learning, scienziati dei dati, policymaker, ecc. è ancora frammentato ed è necessario combinare lenti diverse per poter avere una visione sistemica delle sfide internazionali più complesse da gestire.
  • Sappiamo che il bene sociale risulta diverso in contesti diversi. Più continuiamo a costruire sistemi di machine learning usando come riferimento il mondo sviluppato — come è prassi al momento — più la tecnologia codificherà le infrastrutture e le condizioni culturali delle regioni sviluppate e potrà solo supporre quali siano le necessità delle altre persone a livello internazionale, finendo quindi per escludere le loro voci, o addirittura operando con pregiudizio verso popolazioni diverse.
  • Il pubblico non comprende ancora come l’AI possa essere utilizzata in modo “positivo” e non necessariamente è consapevole di ciò che ha a disposizione, mentre i finanziatori che vogliono adottarla non necessariamente ne comprendono gli effetti.
  • È importante garantire che una pluralità diversificata di talenti faccia parte del settore.

Riconsiderando scopo e metodo

Di seguito, esporrò alcuni pensieri e raccomandazioni per professionisti e ricercatori per quanto riguarda il metodo dell’AI for Social Good:

  • Prima di affermare che il tuo metodo/lavoro possa essere adottato per affrontare una determinata sfida sociale, metti in discussione i problemi sociali in questione e interrogati sul perché della loro esistenza, quali sono gli ecosistemi e chi se ne sta occupando. Dedica del tempo al mettere a punto una definizione critica.
  • Chiediti: chi sta causando il problema e chi ne subisce gli effetti? Quando si è verificato per la prima volta il problema o quando è diventato significativo? È un problema nuovo o vecchio? Quanto o in che misura si sta verificando questo problema? Quante persone sono toccate dal problema? Quanto è significativo? Il motivo di questa riflessione è che se non siamo consapevoli delle dinamiche del problema e delle asimmetrie di potere e informazione, potremmo finire col rispondere alle domande sbagliate.
  • È meglio definire il problema in termini di esigenze e non di soluzioni (ovvero: dove posso applicare il mio metodo raffinato?). Se definisci il problema in termini di soluzioni possibili stai chiudendo la porta ad altre soluzioni, forse più efficaci, e potrebbe rivelarsi una perdita di tempo.
  • Esamina eventuali controargomenti o controversie correlate e rifletti attentamente sui potenziali usi dannosi della tua implementazione. Dichiarali a chiare lettere nel tuo paper.
  • Valuta la possibilità di mappare i molteplici ecosistemi di dati/stakeholder: ti aiuterà a capire e spiegare dove e come l’uso dei dati crea valore. Una mappa dell’ecosistema di dati identificherà i più importanti data steward e gli utenti, le relazioni tra loro e i diversi ruoli che svolgono.
  • Passa da una logica “data extraction” a una di “data empowerment”, perché coinvolge e supporta le persone nella raccolta e nell’uso responsabili dei dati.
  • Valuta la possibilità di combinare e triangolare dati e metodi, evitando quindi di usare le singole tipologie di dati o un unico metodo, per esempio un’unica fonte di dati come i dati dei social media, dati governativi, dati di telefonia mobile. Combina invece diverse fonti di dati per risolvere le limitazioni dei singoli tipi di dati.
  • Valuta la possibilità di sperimentare diverse modalità di data pooling e di condivisione, come data collaborative, data trust e data common.
  • Partecipa a collaborazioni internazionali oneste. In molte attività internazionali di ricerca, gli scienziati locali si occupano tipicamente di raccogliere i dati e di fare ricerca sul campo, mentre i collaboratori stranieri sono sovraccaricati da una notevole quantità di scienze analitiche.
  • Fornisci ad altri gli strumenti e le risorse affinché possano creare un modello o un’analisi simile. In alcuni casi questo potrebbe comportare la codifica dei risultati ottenuti in un progetto attraverso la creazione di appositi kit di strumenti o percorsi di apprendimento specifici che possano essere utilizzati da altri in Paesi e contesti diversi.
  • La ricerca dovrebbe essere accessibile e riproducibile. Questo punto non può essere completamente esploso qui, ma significa che almeno a) la ricerca non dovrebbe essere protetta da un paywall ma andrebbe pubblicata in un archivio pubblico come arXiv b) il codice usato per gli esperimenti e i modelli dovrebbe essere dotato di licenza libera, ad esempio MIT, e pubblicato su GitHub c) i dati devono essere accessibili, ad esempio con una licenza Creative Commons.
  • Valuta la possibilità di pubblicare su diverse riviste accademiche dove la tua ricerca sul machine learning possa risultare innovativa e addirittura trasmettere nuove conoscenze a un altro settore.
  • Evita una visione data-centrica del ruolo di potere, della politica e del contesto istituzionale. Sperimenta invece altri approcci quali la scienza comportamentale e l’intelligenza collettiva. Evita il design human-centered, entra in contatto con i tuoi colleghi di sociologia, antropologia, storia, etnografia e studi culturali che hanno già riflettuto lungamente sul problema che stai cercando di risolvere.

Indipendentemente dalla terminologia diversa che possiamo adottare, è giunta l’ora di unire la nostra attività pratica con il nostro apprendimento teorico e di assumerci la responsabilità dei profondi cambiamenti sociali, istituzionali e personali che sono necessari. I nostri nuovi strumenti sono corredati di nuove affordance e rischi. Dobbiamo cercare di essere più precisi e tenere a stretto contatto le sfide che scegliamo e le loro basi scientifiche e sociotecnologiche attraverso un’intensa collaborazione, il dialogo e una partecipazione costante.


Per approfondire, leggi l’articolo originale What is this “AI for Social Good”? scritto da Eirini Malliaraki. Photo by Hitesh Choudhary on Unsplash.